domenica 15 marzo 2009

Dreams for the city

Presentazione del Movimento Genti di Pace-j
Nei commenti pubblichiamo gli interventi introduttivi.
Stefano Pasta (Comunità di Sant'Egidio-Segreteria GdP-j): GdP-j come risposta al clima di intolleranza e paura
Yongmin Wang (Associna - GdP-j): GdP-j e un'identità plurale
Rachid Eljahouari (Comitato Giovanile Islamico in Italia - Segreteria GdP-j): GdP-j e il dialogo interreligioso
Andrea Bettelli (S. Martino in Greco - GdP-j): GdP-j e la città
Chiara Peri (Lega Missionaria - GdP-j): GdP-j e l'attenzione al mondo
Elisabetta D'Agostino (Comunità di Sant'Egidio - Segreteria GdP-j): GdP-j e il futuro
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Le foto dell'incontro sono al link http://picasaweb.google.com/mondomisto
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(Nei commenti trovi gli interventi integrali... continua a leggere)

6 commenti:

redazione ha detto...

STEFANO PASTA
Comunità di Sant'Egidio-Segreteria Genti di Pace-j)

IL CLIMA DI INTOLLERANZA A MILANO

Oggi ci ritroviamo dopo la festa del 23-11 al Barrio’s a un anno dall’inaugurazione di Genti di Pace-j, una rete che si è formata con il contributo di tanti che in ambito giovanile hanno interesse a riflettere sul tema della convivenza. Veniamo da realtà diverse: in tanti a titolo personale, ma anche tante realtà associative.

Guardandoci, credo sia importante ridirci che la base della nostra ricchezza è la nostra pluralità. Oggi in questo nuovo incontro, in cui siamo contenti che si aggiungono persone nuove, vogliamo riflettere sulle idee di fondo che costituiscono gdp-j per avere maggiore consapevolezza della nostra identità e per capire che cosa vogliamo fare nella nostra città.

Per fare tutto questo,vogliamo essere giovani consapevoli del luogo e del tempo in cui viviamo.
Dopo l’uccisione di Abdul, (14-9-08), ad ottobre ci siamo ritrovati e abbiamo detto che quell’episodio era frutto di “un clima brutto in cui tanti si sentono minacciati, assediati, invasi.” Noi vogliamo essere giovani non rassegnati a questa logica che individua nell’altro un nemico. Sappiamo infatti che la convivenza è la sfida che segnerà il futuro di Milano e dell’Italia.
Più che mai oggi sentiamo il rischio che la frustrazione per le difficoltà economiche create dalla crisi si trasformi in rabbia che vuole sfogarsi. La gente vive le difficoltà, il ridimensionamento del livello di vita, la nuova povertà,la paura: in una regione ricca come la Lombardia a metà marzo sono già finiti i fondi per la cassa integrazione.
L'economia globalizzata però non ha volto. Il suo centro direzionale è lontano, anonimo. Frustrazione e protesta diventano rabbia che vuole sfogarsi. Senza responsabili chiari contro cui protestare, c’è il pericolo che il malcontento si riversi su chi è vicino e raggiungibile, anche se non è responsabile delle difficoltà. Il pregiudizio è facile, la logica del capro espiatorio serve a vincere la paura: gli immigrati vengono a rubarci il lavoro, la casa e, alla fine, il nostro Paese.
Ad esempio, nel clima incandescente di questi mesi, troppo si sono incolpati i rom del malessere di alcune situazioni urbane. Proprio ieri, alcune donne rom mi hanno raccontato che, per la prima volta in tanti anni, si sono sentite minacciare dagli studenti di una scuola superiore urlando: “Vi bruciamo tutti”. Il loro campo esiste nel quartiere di Chiaravalle dal 1997 e da allora non avevano mai avuto problemi di questo tipo.
Il problema dei toni, delle accuse a gruppi di persone, non è qualcosa di accessorio in una situazione di grande tensione sociale come la nostra. E un problema di responsabilità. Il rischio è quello di legittimare la violenza e la violenza finisce sempre per produrre altra violenza. Le accuse s'intrecciano con la violenza sulle persone.
Ormai è abitudine leggere titoli come "raid contro gli stranieri...etc", non sono più notizie fuori dall’ordinario che meritano ampio spazio. Sulla repubblica di giovedì, ad esempio, si leggeva : “ Roma, raid contro gli immigrati. “via i romeni da qui!” e giù botte. Due albanesi aggrediti con pietre e bastoni da 30 italiani a Tor Bella Monaca.” (12-3-09)
Ha colpito tutti l’aggressione del senzatetto indiano che dormiva nella stazione ferroviaria di Nettuno. I compagni degli aggressori, intervistati dal Tg1 sul perché i loro amici avessero dato fuoco al ragazzo, hanno risposto, ridendo: “Vabbè, non un ragazzo, un marocchino.”

Tanti di noi hanno partecipato alle manifestazioni di ottobre contro i tagli ai fondi per l’università. Uno degli slogan era "La crisi non la pagheremo noi".
Giusto, ma bisognerebbe anche dire che la crisi non deve essere pagata neanche dai più deboli. invece, abbiamo assistito in questi mesi ad una progressiva erosione dei diritti degli immigrati e dei rom, che purtroppo ci ricorda altri momenti drammatici della storia.

Quest’estate nelle principali città italiane sono state prese le impronte digitali ai minori rom su base etnica; si assiste a continui sgomberi di campi rom.
Penso anche a molte disposizioni del DDL Sicurezza: restrizioni al matrimonio per lo straniero senza pds; il “reato di clandestinità’’, la detenzione fino a 18 mesi nei centri di dientificazione, le restrizioni al ricongiungimento familiare, la schedatura dei senza fissa dimora, l’abolizione del divieto ai medici di denunciare i clandestini, la proposta di non permettere la registrazione anagrafica ai bambini figli di clandestini.
Mi sembra un’escalation preoccupante, una progressiva erosione di diritti davanti al quale non essere indifferenti.

Non possiamo rassegnarci di fronte a questi tempi difficili perchè possiamo scegliere di spenderci di più, penso che abbiamo tanti strumenti per costruire una città basata sulla convivenza.

Nell’assemblea di ottobre Abderrezak, nell’introdurre il racconto della sua vita, ci ha detto ”penso che la mia storia possa essere un’immagine di integrazione possibile, riuscita bene, nonostante tante difficoltà.” La sua, come quella di tanti di noi e anche dell’amicizia tra di noi, sono –veramente - immagini efficaci.

Oggi vogliamo anche condividere un testo che presenta Genti di Pace-j e che raccoglie i temi su cui finora ci siamo trovati a riflettere e su cui sentiamo c’è bisogno dell’impegno di tanti. Non vuole essere un manifesto che definisce, una “carta costituzionale”, ma è l’occasione per riflettere su questo nostro movimento. Penso ci sia bisogno di capire insieme cosa vogliamo essere e cosa vogliamo fare, c’è il bisogno del contributo di tanti per crescere e per capire insieme che cosa Genti di Pace-j può diventare e come può aiutare la nostra città a guardarsi diversamente.

Per questo ascoltiamo questo testo e di seguito ci saranno gli interventi di alcuni amici che si soffermeranno sui temi principali: le identità plurali, il dialogo tra le religioni, il ruolo di genti di pace-j nella città, l’importanza dell’attenzione al mondo e le nostre prospettive.

redazione ha detto...

YONGMIN WANG (Associna - Genti di Pace-j):

GENTI DI PACE-J E UN'IDENTITà MULTIPLA

Recentemente sto seguendo un corso di « psicologia sociale », ci è stato presentato un test (Twenty Statement Test) che chiede di definire 20 volte ‘’chi sono’’ ?
Questo test è stato applicato in varie nazioni, anche se nessuno arriva a 20 definizioni, normalmente ci si ferma un pochino prima, pero’ questo test ci conferma che tutti noi abbiamo un’indentità plurare, che dipende dalla storia specifica di ogni persona, dalla provenienza geografica, familiare, la fede religiosa, le differenze linguistiche o semplicemente da gruppi di amici diversi, in generale dalle apparteneze ai gruppi sociali.

Sono proprio queste entità multiple, che costituiscono la nostra richezza e completezza. Quindi, in questa ottica, nei casi degli immigrati, si aggiungono ‘’solo’’ qualche indentità in piu.

Nelle condizioni normali non ci rendiamo conto di questa nostra multi-indentità in quanto ci sembra ovvio. Dato che è perfettamente accettato quindi non viene evidenziato le differenze.
L’anno scorso, quando ero a Toronto, un’amico ebreo-austriaco mi ha fatto un’osservazione : mi ha detto che sono troppo italiano per confondermi nel gruppo dei cinesi.
Invece, tra le matricole 2G della mia università di quest’anno, mi dicono che sono troppo cinese per essere italiano.
1,5G è la definizione che è stato dato a quelli come me, ma preferisco considerarmi uno che nella propria personalità includa entrambe le identità.

Quando arrivai in Italia, la maestra « Licia » mi disse che dopo poco avrei fatto parte integrante della società italiana, e io domandai « come e quando sapro’ che ne faro’ parte ?»
La risposta che mi fu data era : « Quando non sentirai piu’ bisogno di fare questa domanda».
Sinceramente credo che questa risposta sia ancora valida : infatti cosi è stato per le medie, superiori e università. Tra gli amici e compagni mi sono sentito di farne parte.

Proprio come GdP-j, una comunità formata dalle persone piu’ variegate, di provenieza, di colore e religione, dove ci si incontra e si parla, ci si conosce e ci si diverte. Infatti, conoscendosi meglio, cadono i pregiudizi, la diffidenza e la paura che separano le persone.
Proprio in questi tempi di tensione di diffidenza e intorellanza, dove la violenza puo’ essere una facile risposta, dobbiamo fare di più.

Oggi sono ancora più ottimista, perchè il mio ottimismo è supportato dalla prova concreta di una convivenza pacifica e reale, proprio come gli amici di GdP-j e desidero con tutto il cuore che questo modello di rapporti possa estendersi a tutta la società.

redazione ha detto...

RACHID ELJAHOUARI
(Comitato Giovanile Islamico in Italia - Segreteria Genti di Pace-j):

GENTI DI PACE-J E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Vorrei aprire questo mio intervento sottolineando l’importanza dei giovani e il contributo che i giovani possono offrire alla loro società. I giovani sono considerati da tutti una forza per la nascita e lo sviluppo di ogni società.

Da questo e molto altro viene l’importanza di incontrarsi per conoscersi dal punto di vista culturale e religioso. Se è vero che ci sono delle differenze che rimangono e devono rimanere, è anche vero che è necessario trovare dei punti dove possiamo incontrarci.

Questi punti sono prima di tutto la vita comune, mangiare insieme, parlare, scambiarsi visite : l’amicizia in una parola.
Per far crescere il senso di appartenenza di una realtà, c’è bisogno di impegnarci e contribuire allo sviluppo.

La città di Milano quindi ha bisogno della nascita di un nuovo senso di appartenenza, c’è bisogno di un nuovo “NOI” . Un “NOI” che riunisca le donne e gli uomini le persone di tutte le religioni o di nessuna religione, gli stranieri e gli italiani, per impegnarsi insieme contro le contraddizioni della nostra società e per lavorare insieme per sostenere gli emarginati.

C’è bisogno che le discriminazioni siano bandite, che la dignità sia difesa e che il metro economico cessi di essere l’unica misura del bene.

Ci sono tuttavia moltissimi ostacoli alla nascita di questo nuovo “NOI”, soprattutto prima che la maggioranza degli stranieri in Italia possa sentirsi parte integrante della propria società e dunque anche di questo nuovo NOI.

Il nuovo Noi è un sentimento . Quando vado a vivere in posto, voglio sentirmi parte di quel posto .

La nostra prospettiva, il punto dove vogliamo arrivare, è che non ci sia più marocchino, cinese o italiano, nel senso che la diversità non costituisca più una distanza nella diversità, ma che si possa essere diversi insieme e non contrari.

Oggi noi viviamo piuttosto nella società dell’IO, dove i luoghi di culto sono una questione di scontro, mentre nella società del NOI i luoghi di culto saranno luoghi di incontro.

redazione ha detto...

ANDREA BETTELLI
(S. Martino in Greco - Genti di Pace-j):

GENTI DI PACE-J E LA CITTà

Il primo punto che vorrei sottolineare, è il nostro modo di vivere la città.
Milano non è il luogo a misura d’uomo per eccellenza, come può essere invece un paese o anche una cittadina più piccola, è chiaro quindi che esiste il rischio di perdersi all’interno della sua realtà. Tutto intorno ci può sembrare grigio e anonimo, un luogo nel quale bisogna solo fare ciò che ci è chiesto: chi lavorare, chi studiare e via dicendo. Tanta gente, tanti nostri coetanei sono forse già caduti in questa trappola: non riuscire più a vivere pienamente la realtà del posto in cui abitiamo, non capirne più le dinamiche e le trasformazioni, molti si fermano solo alla superficie della nostra città. Così facendo si finisce però col chiudersi su se stessi, passando la propria vita senza accorgersi di quella degli altri. Ciò che però noi tutti possiamo testimoniare è che la nostra Milano, dico nostra perché credo che ognuno la senta un po’ come sua, così come ognuno sente proprio il luogo dove ha la sua casa, non sia una città anonima, senza volto, ma invece uno spazio vissuto e uno spazio da vivere. Possiamo affermare questo perché le nostre vite ne sono la testimonianza, le relazioni, le amicizie, i rapporti instaurati da noi, fra noi, sono l’esempio più bello di come all’interno della città si riesca a vivere pienamente.

Vivendo la nostra città, ci rendiamo conto di quanto sia in continuo cambiamento.
Parlo da italiano, cresciuto a Milano che ho visto modificarsi con il passare degli anni, così come credo anche voi la vediate cambiare di giorno in giorno. Si costruiscono nuove case, cambia la geografia dei nostri quartieri, ma aspetto più importante, cambiano gli abitanti, che sono l’anima della città.
E guardando adesso Milano ci si accorge di come sia una realtà nuova: il suo presente è multiculturale, girando per le strade, sui mezzi, nei posti di lavoro ci accorgiamo che la pluralità di genti è davvero reale, è qualcosa che è accaduto (basta guardarci in volto). Tradizioni, religioni, abitudini diverse per ognuno.
Bisogna prenderne atto: molto è cambiato, c’è chi dice in peggio, chi dice in meglio, io credo che sia soltanto il nuovo. Sta a noi far si che questi cambiamenti siano veramente positivi, sono i nostri comportamenti che faranno pendere l’ago da una parte o dall’altra.

E’ per questo che affermiamo che per noi il futuro è la convivenza.
Il rischio infatti è quello di fermarsi di fronte alle differenze, viste come inconciliabili.
Ma questo è un grande errore: non possiamo decidere prima che le nostre diversità sono incompatibili, perché finché non si conosce la diversità non si può giudicare su di essa. Anzi dico di più, finché non si conoscono le singole persone non possiamo dire “no queste differenze sono sbagliate”.
Da italiano mi vergogno quando sento dire “le altre culture sono cattive” oppure “tutti quelli di una certa nazionalità sono pericolosi”: bisogna conoscere prima di giudicare, conoscere la cultura e soprattutto le persone. Generalizzare è sbagliato. Sono gli individui a commettere il bene o il male, non una categoria.
Si può cadere nell’indifferenza nei confronti di chi è percepito “diverso”, anche solo per la cittadinanza scritta sulla carta d’identità.

Indifferenza e non conoscenza sono pericolosi, perché portano con loro la paura, verso ciò che è percepito come diverso.
Il futuro che non vogliamo è quello di una civiltà della paura: non ha senso vivere con l’angoscia di perdere la propria identità nel confronto con gli altri. Se si vive con il timore di essere assediati, si guarda all’altro con diffidenza e disprezzo: si percepisce come una minaccia ciò che invece potrebbe essere un’opportunità.
I risultati di questo clima già si vedono: viviamo con l’ossessione della sicurezza, sembra che tutti i problemi, economici, politici, sociali dipendano da questo. Ed ecco allora che l’ostilità si diffonde. Ecco che si comincia a parlare di ronde. Quanto è facile passare poi da queste a manifestazioni di violenza gratuita. Diciamo un no forte a tutto ciò: sono un passo indietro molto pericoloso.

Vogliamo che si abbattano i muri di diffidenza tra le persone. Non parlo solo di quelli fra italiani e stranieri, ma soprattutto di quelli fra ricchi e poveri, fra forti è deboli. Certo poi è emblematico vedere come molte volte si ritorni alla distinzione italiani/stranieri: d'altronde spesso il povero è chi arriva senza un soldo alla ricerca di un futuro. Tutti noi, con tutte le realtà di cui facciamo parte, dobbiamo tenere alta l’attenzione: non possiamo lasciare che la nostra città dimentichi chi è più in difficoltà, non possono esistere coni d’ombra in cui non si può guardare. Parlo anche dei rom, realtà da tutti dimenticata, se non odiata.

Io vivo in un quartiere, Greco, la cui caratteristica principale è l’essere letteralmente tagliato da ponti ferroviari, non si alza lo sguardo senza vedere binari del treno. Ho sempre apprezzato questa particolarità: mi sembra quasi che questi attraversamenti mettano in comunione non solo le varie parti della zona, ma anche tutto il resto della città. Prima di Natale mi è capitato di scoprire che sotto uno di questi ponti, nascosto dal centro del quartiere, vive un uomo italiano di circa 65 anni, la cui casa è appunto quel luogo. Sono rimasto profondamente colpito nel constatare quanto la povertà sia vicina a noi: non è qualcosa di lontano, che ci viene raccontato ogni tanto dai telegiornali. Basta alzare lo sguardo, osservare Milano con occhi nuovi per accorgerci degli “spazi bui”. Il problema è che il più delle volte queste situazioni non le vogliamo vedere.
Quello che vorrei è che i ponti non fossero solo di cemento, ma fossero anche umani, un insieme di relazioni che ci permette di conoscerci tra noi, ma soprattutto di conoscere l’altro senza alzare muri di diffidenza.
Come genti di pace siamo in grado di fare ciò, siamo in grado di vedere e vivere la città come spazio in cui costruire. Anzi possiamo fare molto di più: permettere ad altri di apprezzare questo modo di fare e cambiare il volto della città, possiamo far si che il cambiamento sia davvero in meglio!

redazione ha detto...

CHIARA PERI
(Lega Missionaria - Genti di Pace-j):

GENTI DI PACE-J E L'ATTENZIONE AL MONDO

Cosa spinge una ventenne che abita dentro la cinta della circonvallazione milanese a passare le vacanze estive in Romania per un campo di volontariato?

Allora forse non sapevo la risposta, ma oggi posso dire che per qualcuno la risposta potrebbe stare nella voglia di conoscere un mondo lontano eppure così vicino.

Quante volte la parola Rumeno viene letta sui nostri quotidiani? Sicuramente un numero superiore di volte rispetto alla parola uomo. Nelle cronache di reati, infatti, si da troppa importanza alla voce luogo di nascita sulla carta di identità, rispetto a quella nome.

Tempi pericolosamente simili a periodi come quello precedente le leggi razziali nazi-fasciste.
Dunque c’è voglia di partire per conoscere, ma anche per aiutare. Si parte con la convinzione di andare a costruire qualcosa di materiale e temporalmente tangibile. Si arriva e ci viene chiesto di sederci di fianco a persone, bambini, anziani, malati di mente, e parlare. Ci viene chiesta attenzione, niente di più efficace per costruire effettivamente qualcosa.
Si torna poi nella nostra Milano e si pensa di ritornare schizofrenicamente alla Milano lasciata prima di partire. E ci si accorge invece che la città è cambiata, o forse è sempre stata così e noi, per la prima volta, riusciamo veramente a vedere com’è.

L’attenzione al mondo lontano è quindi fondamentale per comprendere la propria città, la propria gente che, guarda caso, viene proprio da quel lontano. Non è un caso, infatti, che l’attività che si potrebbe definire di volontariato ( io preferisco invece chiamarla impegno nei confronti di rapporti personali) che svolgo qui a Milano, sia proprio con bambini rumeni.

E’ dunque fondamentale lo studio dei paesi fuori da quella linea immaginaria che chiamiamo confine Italiano, studio fondamentale per essere cittadini milanesi. Ma lo studio non può essere fatto attraverso libri, media, professoroni universitari, deve piuttosto trovare la fonte nei racconti diretti. Ne è un esempio l’approfondimento che Gente di Pace ha voluto fare sulle inondazioni avvenute in Mozambico. Allora furono gli amici come Inroga, Djamila e Fatima a raccontarci i problemi della loro terra, non tanto libri o cattedre.
Attenzione al mondo è poi anche attenzione ai problemi e alle necessità. Ecco infatti come la Comunità di Sant’Egidio sostiene il progetto Dream per la cura e prevenzione del’AIDS in Africa. È un aiuto che parte in tutto da Milano, dal suo centro dove si raccolgono fondi per le medicine tramite il Rigiocattolo. Il Rigiocattolo vede i bimbi considerati bisognosi che mettono a nuovo giochi vecchi da vendere per la raccolta fondi. E’ un po’ come prendere due piccioni con una fava, o forse semplicemente rimanere con coerenza in un discorso di supporto al prossimo molto più profondo.

L’attenzione al mondo è dunque studio attraverso i volti degli amici per poter comprendere meglio chi ci sta intorno in questa città ormai sempre più colorata.
Purtroppo oggi noto una sorta di dipendenza psicologica dalle delimitazioni: si vive cercando rassicurazione in un mondo fatto a puzzle in cui ogni pezzo sia di un unico colore ben distinto dagli altri e ben separato tramite i margini da quelli confinanti. Ecco perché ad esempio il nomade fa così paura: il nomade non è un semplice straniero, è un uomo non radicato, senza margini, che non è dipendente da queste linee immaginarie, è una pericolosa mina che intacca la purezza dei colori distinti e divisi. C’è chi dice che i Rom siano un popolo senza terra, io sostengo che siano forse uno dei pochissimi con tutte le terre. E invece io dico che bisogna non tanto abbattere barriere, ma piuttosto capire che queste non esistono, sono prodotto immaginario della nostra paura.
Così capiamo che per avere pace non bisogna alzarsi, costruire chissà quale muro, sforzarsi con chissà quale opera enorme e fare chissà quanta fatica. Per la pace basterebbe sedersi, e con tranquillità conoscere attraverso le parole.

redazione ha detto...

ELISABETTA D'AGOSTINO

(Comunità di Sant'Egidio - Segreteria Genti di Pace-j):

GENTI DI PACE-J E IL FUTURO

Siamo molto contenti di esserci confrontati ancora una volta sulla città.

Penso che Genti di Pace-j parli già molto da sola: la nostra amicizia è già la dimostrazione che è possibile mettere insieme persone diverse che nella vita di tutti i giorni vivono in situazioni molto distanti. Per questo motivo dobbiamo renderci conto di avere una grande forza: noi sappiamo dialogare e unire i tanti fili slegati della nostra città.

Secondo me Genti di Pace-j deve rispondere in fretta alle richieste delle realtà più in difficoltà di fronte al clima di questo momento. Innanzitutto le scuole devono diventare la nostra casa, dobbiamo parlare ai più giovani e mostrargli che lo scontro non è la strada del futuro ma solo l’incontro con l’altro lo è.

Siamo già stati invitati dalla scuola superiore dove studia Hatice e presto una piccola delegazione andrà a presentare il movimento.

Inoltre anche la parrocchia di Greco ci ha chiesto di presentare Genti di Pace-j. Greco è un quartiere vicino alla stazione centrale dove la presenza degli stranieri è aumentata in pochi anni. Purtroppo è cresciuta la tensione degli italiani nei confronti degli stranieri ed è diffusa la percezione che il quartiere sia diventato insicuro dopo il loro arrivo. Ci piacerebbe quindi essere la dimostrazione concreta che la strada da percorrere sia il dialogo e l’amicizia.

Ci lasciamo con la prospettiva di giugno e al prossimo appuntamento che ci aspetta: la festa in piazza Living Together 2009. La festa sarà nel quartiere di Corvetto, un luogo dove ci sono tante tensioni tra gli italiani e gli stranieri, gli anziani sono tanti e molto spesso da soli e impauriti. Fare festa è un modo bello per incontrarsi. A giugno noi tutti dovremo portare le nostre idee, le nostre storie per dimostrare che non bisogna andare troppo lontano per cercare la convivenza. La convivenza esiste già: è la nostra amicizia, è insomma Genti di Pace-j.