mercoledì 26 maggio 2010

Presentazione di "La città avrà i miei occhi"

Presentazione del libro

La città avrà i miei occhi
Spazi di crescita delle seconde generazioni a Torino
di Daniele Cologna, Anna Granata, Elena Granata,Christian Novak, Ilaria Turba

mercoledì 26 maggio, ore 16.15
Politecnico di Milano, aula S. 1.4
piazza Leonardo da Vinci 32 (mm2 Piola)
Nei commenti l'introduzione.
(Continua a leggere... nei commenti)

3 commenti:

redazione ha detto...

STEFANO PASTA (Genti di Pace-j)

INTRODUZIONE:

Questo bel libro ci permette di affrontare un tema legato alla costruzione del futuro del paese in cui vogliamo vivere.
"La città avrà i miei occhi. Spazi di crescita delle seconde generazioni a Torino" ci parla infatti di storie di nuovi italiani, termine utilizzato da Giorgio Napolitano perché parla del riconoscimento di una piena cittadinanza dei giovani di origine straniera, definiti dal Presidente della Repuibblica “un fattore di freschezza e di forza per la nazione”.

Come si legge nella prefazione, nel testo si raccontano gli “sguardi delle seconde generazioni: sguardi sui quartieri delle città in cui crescono, sul loro futuro di adolescenti ancora aperto a quasi tutte le possibilità, sulla fatica dei genitori in Italia. (p. 11)
E saluto con simpatia gli autori del testo Daniele Cologna, Anna Granata, Elena Granata, Christian Novak; Ilaria Turba (che non è potuta essere presente).

Questo testo raccoglie i risultati della ricerca "Approssimandosi, vita e città dei giovani di seconda generazione a Torino", promossa dalla Fondazione Agnelli e coordinata da Daniele Cologna, ricercatore dell’Agenzia Codici.
La ricerca si è basata su un’indagine campionaria e interviste semistrutturate a ragazzi e ragazze “nuovi italiani” tra i 13 e i 22 anni di 13 scuole di Torino e di alcuni comuni della prima cintura e a soggetti italiani che hanno a che fare con i giovani immigrati a torino.
È una ricerca che ha voluto mappare le modalità di interazione con lo spazio fisico della città.
È stata accompagnata da una ricerca fotografica, realizzata da ilaria turba, che ha permesso di costruire alcuni racconti di vita quotidiana e di rapporto tra i ragazzi e la città.

Partendo da questa ricerca, il testo affronta un dibattito decisivo per il momento storico che vive l’Italia, e in particolare grandi città come Torino e appunto Milano.
Spesso sentiamo ancora dire che l’Italia è un paese di recente immigrazione e per questo impreparato a politiche strutturali di integrazione e accoglienza.
Questo, lo sappiamo, non è più vero; in realtà siamo un paese che definirei “paradossale”, che tiene in sé due realtà contraddittorie, ma tra le quali siamo chiamati a scegliere.
Da un lato, c’è una realtà di diffidenza e ostilità verso chi è immigrato o figlio di immigrati. Dobbiamo ancora smentire che “gli immigrati ci rubano il lavoro” (lo sentivamo dire 15 anni fa!), che “i musulmani sono tutti terroristi”.

Dall’altro lato, vediamo una nuova Italia – quella dei nuovi italiani appunto – che è già riconosciuta nei fatti. Il testo lo racconta bene: nei quartieri delle grandi città, nelle scuole, negli asili, all’università, nella realtà delle seconde generazioni, che spesso, anche se magari non hanno la “cittadinanza sulla carta” , vivono però la “cittadinanza interculturale”.
Lo dice bene Anna Granata in una video-intervista che fa da filo rosso alla performance Cittadini si diventa realizzata da giovani nuovi italiani del movimento Genti di Pace-j di cui anche io faccio parte:
“Sei italiano o sei straniero? Sei di qui o sei di altrove? Ci si ritrova spesso a ragionare per categorie che si escludono: o sei italiano o sei straniero. Eppure, la cittadinanza interculturale è una realtà sempre più diffusa e che coinvolge un numero sempre crescente di persone anche nella nostra società. Appartenere a più mondi significa essere italiani e qualcosa di più: una lingua di più, una cultura di più, un legame con un paese lontano, quello dei propri genitori e dei propri nonni.”

redazione ha detto...

Anche La città avrà i miei occhi sottolinea bene questa nuova realtà quando leggiamo nell’introduzione: “ Questo libro si colloca in una posizione di frontiera. Aspira a chiudere un’epoca, quella delle ricerche “sull’immigrazione di seconda generazione” e ad aprirne un’altra, quella di una riflessione condivisa sulla più importante mutazione antropologica della storia italiana recente.”

Dicevamo una realtà paradossale, che comprende queste due realtà – quella della diffidenza, che a tratti diventa xenofobia, e quella della cittadinanza interculturale- entrambe vere, ma tra le quali dobbiamo scegliere.
La realtà di oggi è già, che ci piaccia o no, multietnica e meticcia.
Nei giorni in cui festeggiamo i 150 anni dell’Unità d’Italia e in cui ripensiamo ai concetti di patria e identità nazionale, il vero “patriottismo” è dirsi che l’idea di purezza etnica è illusoria e pericolosa per il futuro dell’Italia.

I bambini ed i ragazzi di origine straniera sono oggi poco meno di 900 mila, di cui 520 mila nati nel nostro Paese, e costituiscono già il 7% dell’intera popolazione scolastica.
Corrisponde al comune interesse di tutti – vecchi e nuovi italiani - che l’appartenenza di questi bambini e giovanissimi alla comunità nazionale sia rafforzata e confermata dal riconoscimento pieno e formale della cittadinanza.
La legge attualmente in vigore del 1992 è anacronistica, corregge un testo del 1912 che voleva conservare il diritto di sangue italiano in un’epoca di emigrazione; fotografa un’Italia che non c’è più: dà la cittadinanza a chi è emigrato e la nega ai minori che fanno la scuola qui e si sentono italiani.
Sono diverse le voci a sostegno di una riforma che preveda l’accoglimento dello ius soli.
Ad esempio, la campagna Made in Italy, promossa dalla Comunità di S. Egidio e sostenuta da Genti di Pace-j, chiede il riconoscimento della cittadinanza ai bambini nati in Italia o che abbiano compiuto un ciclo di studi nel nostro paese. Ci sembra questa una proposta ragionevole .

Infatti, oggi, per i ragazzi di origine straniera (anche qui in sala ce ne sono molti), l’appartenenza a questo paese non è una questione scontata. I giovani di origine straniera si sentono italiani: è lo sguardo di chi li osserva che li rende a volte stranieri nella propria stessa terra.

Oggi, nel presentare il testo che parla di questa realtà, non vorremmo fare un dibattito accademico, ma riflettere insieme a persone che sono o hanno a che fare con i nuovi italiani per dirci come agire a partire dalla realtà della nostra città, che vive la ricchezza della presenza delle seconde generazioni, spesso riunite in associazioni.

redazione ha detto...

STEFANO PASTA (Genti di Pace-j):

CONCLUSIONE:

Concludendo, possiamo dire che il riconoscimento delle seconde generazioni – culturale e giuridico – è decisivo per il futuro dell’Italia: dobbiamo dirci se una ragazza con il velo o con gli occhi a mandorla può essere italiana come me.
Rispondere a questa domanda non riguarda solo le seconde generazioni, ma è una battaglia che va fatta insieme: seconde generazioni, italiani, persone di recente immigrazione. Prima di tutto, perché il riconoscimento non è univoco. Nel libro si legge: “ I risultati della ricerca ci indicano quanto superficiale sia la convinzione, peraltro diffusa, che tutto dipenda dalla buona volontà dei figli dell’immigrazione. Molto dipenderà invece dal tipo di occasioni che l’Italia sarà disposta a concedere loro; dipenderà dunque dagli sguardi che gli italiani sapranno rivolgere alle seconde generazioni.”

Il rischio è forte: nelle periferie delle nostre città, vediamo il rischio di seconde generazioni arrabbiate per il mancato riconoscimento. Rischiamo di far crescere come nemici – o almeno cittadini di serie B- decine di migliaia di giovani ormai italiani e milanesi che hanno il diritto di pretendere il rispetto, di professare la propria religione senza doverla nascondere; ragazzi che potrebbero diventare cittadini a pieno titolo, che vivranno certamente insieme con noi e tra di noi.


In questo senso, molti dei nuovi italiani che hanno parlato oggi, anche per le storie positive da cui arrivano, hanno saputo rispondere vivendo la cittadinanza.

Vivere la cittadinanza è qualcosa di più profondo che essere cittadini “sulla carta”: significa impegnarsi per dare il proprio contributo attivo alla costruzione della società, significa sognare di costruire qui il proprio futuro.

Proprio perché ci indica con chiarezza questa direzione, direi che terminiamo l’incontro di oggi esprimendo veramente un sentito ringraziamento per chi ha curato la ricerca e scritto "La città avrà i miei occhi". Ci indica la strada per un sentimento di cittadinanza basato sulla vicinanza, la prossimità e l’unità tra vecchi e nuovi italiani.