sabato 24 novembre 2007

La maestra Xiaomin

E' cinese e insegna italiano.
E si impegna per l'integrazione degli stranieri.

Da Scarp de' tenis, novembre 2007


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3 commenti:

redazione ha detto...

(Continua l'articolo.... "La maestra Xiaomin")

A capire elementi, come l’articolo, che nella nostra lingua non esistono. Io mi occupo soprattutto di tradurre durante le lezioni: spiego in cinese le regole grammaticalio i significati delle parole”.
Ma la scuola di italiano non è la sua unica atttività di volontariato. Tutto è iniziato quando ha conosciuto la Comunità di Sant’Egidio, ed è successo durante il suo secondo anno di liceo. “Un amico era venuto a scuola a tenere un incontro durante un’assemblea d’istituto, e il racconto delle tante attività che organizzavano mi ha affascinato – racconta Xiaomin - . Mi piaceva l’idea di fare volontariato , e farlo nell’ambito di iniziative a favore dell’integrazione degli stranieri”. Così ha cominciato a spendere parte dei suoi pomeriggi alla Scuola della pace, quartiere Barona: un “doposcuola” molto particolare per ragazzi italiani e stranieri, delle scuole elementari e medie, dove si fanno i compiti, anche se non è questo l’obiettivo principale.

Lavorare sui bambini per avviare l’integrazione
“Si tratta proprio di una scuola di educazione alla pace – spiega la giovane - , dove insegnamo ai bambini a stare insieme agli altri, senza sentire come un problema il fatto che l’altro sia di una nazionalità diversa”. Fare l’educatrice e gestire tanti altri impegni le sembra naturale, ma quando le si chiede se, insieme a lei, ci siano altri ragazzi stranieri, si imbarazza e ride “Forse sono l’unica. Anzi no, c’è Tamala, una ragazza serba. Comunque ci sono tanti stranieri, anche cinesi, che partecipano ad altre attività, ad esempio vanno a trovare gli anziani”.
Xiaomin, fin dal suo primo incontro con Sant’Egidio, ha deciso di entrare a far parte del gruppo milanese di “Genti di pace”, movimento internazionale che raggruppa italiani, ma soprattutto stranieri europei ed extraeuropei e che lavora per l’integrazione, favorendo la conoscenza tra persone di nazionalità diverse con l’obiettivo di combattere diffidenza, intolleranza e razzismo.
Alla Scuola della pace della Barona, quartiere dove la popolazione residente porta ancora tracce di una forte immigrazione dal meridione negli anni Sessanta e Settanta, arrivano anche i bambini rom di via Vaiano Valle. La situazione della loro comunità si intuisce anche attraverso i bambini- racconta Xiaomin-, che hanno spesso difficoltà a scuola e nella relazione con gli altri. Però lavorare per l’integrazione con i minori è più semplice, noi facciamo in modo che loro si conoscano, giochino e facciano merenda insieme. Li facciamo conoscere e diventare amici, solo dopo gli si fa capire anche le differenze culturali che ognuno ha. In questo modo i luoghi comuni che a volte imparano dagli adulti vengono combattuti. Capita di sentire un ragazzino che fa qualche commento un po’ razzista, magari sui rom, ma subito indica il compagno come un’eccezione: “Lui no ovviamente, lui è mio amico” E’ un punto di partenza.
Se il principio è educare alla convivenza , il tempo delle vacanze è il più favorevole. In estate Xiaomin accompagna i bambini della Scuola della Pace in colonia a Capizzone. Sono soprattutto bambini delle elementari , ma ci sono anche i ragazzi delle scuole medie, che sono alla settima, ottava estate e sono cresciuti con lei. “Tutti gli anni a luglio, li portiamo in montagna- conclude Xiaomin- per farli stare in un ambiente differente dal solito, staccato dalla città. E’ meraviglioso vedere come queste situazioni favoriscano l’amicizia tra bambin che arrivano da paesi e storie molto diversi: italiani, cinesi, sudamericani, rom. Non ci sono più differenze. Anche con noi, che li seguiamo durante l’anno, si approfondiscono la conoscenza ed i rapporti di fiducia. Sono piccoli semi, ma danno grande speranza.


Comunità di Sant’Egidio tra educazione e accoglienza

La comunità di Sant’Egidio nasce a Roma nel 1968 all’indomani del Concilio Vaticano II.
Oggi è un movimento di laici, cui aderiscono più di 50mila persone, impegnato nella comunicazione del Vangelo e nella caritò in più di 70 paesi dei diversi continenti. A Milano la comunità è presente dal 1989 con tre Scuole della Pace, nei quartieri Barona, Paolo Sarpi e Corvetto, che sostengono bambini e adolescenti italiani, nomadi e stranieri nell’inserimento scolastico e nell’educazione solidale verso i più deboli. Organizza anche scuole di italiano per stranieri e soggiorni estivi con i bambini seguiti durante l’anno.
A Chiaravalle promuove progetti di accoglienza e di educazione sanitaria con gli adulti rom; nel quartiere Corvetto si occupa di numerosi anziani in istituto o soli in casa .
L’attenzione è rivolta anche al dialogo interreligioso, attraverso l’organizzazione di preghiere ecumeniche e di incontri come la memoria della deportazione degli ebrei milanesi .
Centrale per la comunità di Milano è la preghiera della sera , ogni martedì, mercoledì, venerdì e sabato alle 20 nella chiesa di San Bernardino in via Lanzone 13

redazione ha detto...

Corriere della Sera

venerdì 12 Ottobre 2007

La ragazza cinese che insegna italiano ai bambini cinesi
“Ripago Milano lavorando per l’integrazione”

Si può “passare un pomeriggio a far niente negli internet point e chissà con che soldi” , come diversi denunciano: non c’è dubbio. Ma si può anche arrivare in Paolo Sarpi da Shangai a 16 anni senza sapere una parola d’italiano imparando al liceo scientifico Bottoni studiando pure latino ed altre due lingue, e adesso avere finalmente in vista una laurea in design al Politecnico: dedicandosi nel frattempo ad insegnarlo agli altri cinesi, l’italiano,e lavorando in parrocchia con altre decine di bambini italiani e stranieri per “l’educazione alla pace”, e infine portandoli in vacanza insieme, italiani, cinesi, e persino rom per una “integrazione possibile fra tutti. Si può. Xiaomin per esempio, che adesso di anni ne fa 24, lo fa. E insieme con la Comunità di Sant’Egidio, più qualche centinaio di persone in Via Sarpi e dintorni , è anche lei un pezzo di “ quell’altra” Chinatown milanese: che magari si vede meno, a volte eppure c’è. E’ una storia a sua modo semplice, quella di Xiaomin. “Sono arrivata qui a Milano nel ’99 con mio padre. Mia madre ci aveva preceduto e prima di lei- racconta- erano arrivati i miei zii, a Brescia”. L’iscrizione al liceo è la prima cosa che le fanno fare: “Ricordo la fatica dell’inizio, per verifiche di latino tenevo sul banco tre dizionari. Latino italiano e cinese, un casino. Per fortuna la maturità l’ho presa con l’indirizzo tecnologico, al Galvani”. La tesi di laurea che sta preparando , ora che è al quarto anno di design è sul “ Architettura dell’ospitalità”. Ma molte ore della sua giornata sono dedicate a forme di ospitalità ideale e concrete ad un tempo. La prima è la collaborazione alla scuola d’italiano per stranieri coordinata da Sant’Egidio: che ogni domenica dalle 3 alle 6 accoglie nella parrocchia delle Santissima Trinità un centinaio di cinesi fra i venti e i quarant’anni. “E questi sono solo gli ultimi- dice- dei 3500 stranieri che, calcolando anche l’altra sede di via Timavo, l’hanno frequentata dal 97 ad oggi” Tutto gratuito vale la pena dirlo. Ma il lavoro più importante per l’integrazione, sottolinea, è quello con i bambini : gli stessi cioè che sempre nei locali della parrocchia si raccolgono attorno a Xiao ed agli altri volontari come lei per la “Scuola della Pace”. Una realtà che vuol dire “non solo doposcuola, ma soprattutto educazione alla convivenza”: nella colonia estiva di Capizzone giocano insieme, accompagnati da Xiao e dagli altri come lei, i bambini dei quartieri popolari della Barona e i figli dei rom di Vaiano Valle.
La difficoltà maggiore ?Per Xiao solo una “Il rinnovo del mio permesso di soggiorno. Da quando sono maggiorenne, e in quanto studente, sono costretta a richiederne il rinnovo ogni undici mesi: come dire che , appena mi arriva, devo già ripresentare la domanda per il successivo”.

Anonimo ha detto...

DALL’INTOLLERANZA AL RAZZISMO.
Il dovere di ricordare

di Laura Tussi

L'intolleranza consiste nell'atteggiamento abituale di chi avversa le opinioni altrui, specialmente in materia politica e religiosa.
È un atteggiamento improntato ad una rigida e risentita chiusura dogmatica nei confronti degli altri, che si manifesta dalle origini dell'uomo, con la sottomissione degli schiavi, le persecuzioni degli eretici, l'antisemitismo e con fatti di violenza verso i migranti e i non comunitari.
L'intolleranza si manifesta anche contro i Sinti e i Rom perché gli abitanti delle nazioni che li ospitano si considerano appartenenti ad una patria costituita da una sola razza, poiché lo spirito nazionalistico li rende ostili a razze diverse.
Attualmente l'intolleranza ha raggiunto livelli non più sopportabili a causa della convivenza tra popoli differenti ed è motivata da un'ignoranza diffusa rispetto alle persone che la società reputa diverse, perché la gente ha sempre paura dell'ignoto e di tutto ciò che è estraneo e sconosciuto.
Un motivo che alimenta l'intolleranza è la mancanza di valori da parte delle persone che maltrattano i migranti e i non comunitari.
Anche in politica è diffusa l'ostilità.
Infatti, in modo frequente, in televisione, nei dibattiti e nei telegiornali si può assistere a discussioni molto animate tra uomini politici e anche queste sono forme di intolleranza.
Sembra impossibile che dalle scoperte di Mendel, il mondo debba ancora essere turbato dal prolungato uso del concetto di razza, reso insostenibile dallo sviluppo della genetica moderna.

La complessa opera di educazione e istruzione dello Stato popolare deve trovare il proprio coronamento nel riuscire a far diventare istintivo il sentimento di razza nel cuore e nel cervello della gioventù. Nessun fanciullo e nessuna fanciulla deve lasciare la scuola senza essersi reso conto fino in fondo dell'essenza della necessità della purezza del sangue.

Queste parole di Adolfo Hitler nel Mein Kampf inducevano alle incredibili crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio.
La biologia moderna ha dimostrato che il concetto di razza e di sangue sono infondati.
La genetica ha mostrato come non esiste una purezza di caratteri ereditari entro popolazioni umane. Nonostante questi fondamentali principi scientifici, si manifestano attualmente forme di razzismo nei confronti degli ebrei e di tutti i “meridionali” e i diversi del mondo.
Il termine razzismo indica l'ideologia che distingue la razza umana divisa in razze superiori ed inferiori e che prevede la supremazia della razza forte su quella più debole.
Attualmente e in passato, le vittime di questa ideologia razzista sono state la razza nera e quella ebrea.
Il razzismo comporta pregiudizi, stereotipi mentali, presenti nella società, che se anche non necessariamente si esprimono in discriminazioni, possono essere sfruttati da movimenti politici radicali, che tentano di mobilitare in lotte assurde e incivili, in nome della supremazia del più forte sul più debole.
In Germania avvengono ancora manifestazioni neonaziste, dove, da una parte, si distinguono i nostalgici, i veterani di guerra, e dall'altra stanno invece giovani estremisti per cui il nazismo è un elemento di aggregazione.
Questi ultimi, detti naziskin, hanno bisogno dell'autorità di un capo che li guidi e abbia capacità di scelta e dia loro l'impressione di essere forti e non avere paura di niente.
L'intolleranza è diffusa e radicata nella nostra società, come violenza morale e fisica manifestata contro le persone portatrici di una diversità, tra cui gli ebrei, gli immigrati, le persone di colore, gli omosessuali.
L'intolleranza si manifesta in forma violenta e pericolosa.
I naziskin si rifanno agli ideali nazisti di violenza e intolleranza contro una vasta gamma di tipologie di persone considerate inferiori e diverse.
In Italia, oltre al problema naziskin, esiste il razzismo che rappresenta l'intolleranza per eccellenza. Cosa è possibile fare per escludere questo problema dalla società? Risulta necessario eliminare le discriminazioni anche all'interno di uno stesso popolo, per esempio in Italia, tra settentrionali e meridionali, perché prima di giudicare occorre conoscere.
Il razzismo, che per anni è rimasto sotterraneo, tenuto a bada perché combattuto dai partiti di sinistra, dall'associazionismo cattolico, trova adesso legittimità, in un momento di crisi economica, politica e culturale, nei fenomeni di violenza di gruppo, nei gruppi di tifosi intolleranti, nelle ronde organizzate, che fomentano raduni per eliminare lo straniero, l'immigrato, il diverso.
La crisi economica, morale e culturale che colpisce il nostro paese rischia di travolgere anche le ultime trincee della solidarietà e dell'aiuto reciproco, dove il vero problema è quella sorta di indifferenza e di silenzio che ottenebra le persone.
Ciò che più meraviglia è che proprio l'Italia, un Paese risorto sulle ceneri del regime fascista, trova difficoltà a reagire al problema del razzismo e non riesce a trovare nella propria storia e nella sua memoria gli anticorpi per risolverlo.
Stiamo perdendo la memoria storica e un popolo senza memoria non ha futuro.
Cresce sempre il rischio che si diffondano maggiormente atteggiamenti razzisti come conseguenza dell'insicurezza generale che si vive con la crisi economica, morale e culturale.
In un periodo di profonda incertezza politica, le paure vengono amplificate e cresce così la necessità di difesa.
Tutti in un certo senso siamo razzisti, almeno implicitamente nei fatti, nel silenzio, nella debolezza delle reazioni, nella scarsa volontà di capire, nell'esibire striscioni razzisti allo stadio.
Il paradosso di questo nostro Paese è che la parola solidarietà appare vuota e inutile anche se viene costantemente ripetuta e gridata.
Il razzismo si deve affrontare non solo sul piano politico e psicosociale, ma anche sul piano globale, a livello culturale.
L'oscuramento della ragione si deve all'aver accolto, forse all'inizio inconsapevolmente, per una scarsa coscienza morale, i miti dell'intolleranza fanatica, della disuguaglianza tra gli uomini e della conseguente riduzione dell'avversario a una condizione subumana e della convinzione della sovrumana qualità del proprio gruppo perennemente costretto a difendersi dall'oscura congiura dei sottouomini corruttori della propria razza primigenia e perfetta.
L'ignoranza degli avvenimenti della nostra storia recente è causata non soltanto dai programmi scolastici e nemmeno dal poco tempo che rimane all'insegnante di storia, oppresso dalla vastità della materia, ma dalla coscienza civica di ogni singolo individuo nella scelta di trasmettere quanto è avvenuto con il dovere di ricordare.
Il contatto diretto con i protagonisti dei lager è l'aspetto più affascinante, ma anche pericoloso della storia orale perché inevitabilmente soggetto all'emotività.
Quello che manca delle testimonianze è un quadro complessivo, una serie di narrazioni che permettano un paragone, un confronto tra diverse storie ed una racconto del quotidiano, delle giornate sempre uguali e spossanti, nell'obiettivo e nel fine ultimi del deportato: arrivare a sera, rimanendo vivo.
La resistenza alla spersonalizzazione e all'annientamento era costituita da piccoli episodi, che si presentavano ogni giorno e dovevano essere superati se si voleva, e poteva, evitare di essere sommersi.
È possibile essere nazisti, in maniera praticamente inconsapevole, anche in un paese democratico, attraverso quella promozione istituzionale dell'aggressività che consiste nel far parte delle forze armate e di sicurezza, le quali sono considerate indispensabili anche in un paese che voglia mantenersi neutrale.
Forze di polizia ed eserciti rappresentano una riserva di aggressività istituzionalizzata e autorizzata, con il fine di conservare il sistema, generando dimestichezza e abitudine all'aggressività, confermando una cultura della violenza suffragata e dimostrata dai mass media.
Un altro esempio di promozione istituzionale è l'emarginazione.
In ogni paese considerato civile sussistono organizzazioni pubbliche e private che si occupano istituzionalmente del controllo della devianza, che viene così messa sotto controllo per non nuocere e non creare problemi.
Dunque occorrono dei devianti per attribuire al resto dei cittadini la patente di normalità.
Questo accade nel nostro mondo equilibrato e civile come ha assunto connotazioni drammatiche nell'Europa nazista e attualmente ancora negli Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente negati e violati.
Il disimpegno è un altro esempio di promozione istituzionale che privilegia lo status quo, il noto, il già collaudato, le mode e la non partecipazione attiva, la stasi e la non consapevolezza.
In questa mentalità sono inserite anche la scuola, le istituzioni politiche, culturali e religiose quasi a sottolineare che il pensiero sociale, progressista e lungimirante non paga, sia a livello individuale, sia collettivo.
Questo atteggiamento molto diffuso ha vantaggi in termini di governabilità, perché la banalizzazione dell'esistenza, la minaccia dell'emarginazione, se non si seguono le leggi della subcultura del proprio gruppo di appartenenza, l'aggressività e la violenza vissute come valore accettabile in determinati contesti, sono la risoluzione per governi mediocri, in lotta per la supremazia e per garantire a chi detiene il potere la minore opposizione possibile, dove i mass media sono in grado di pubblicizzare rapidamente il nemico e il capro espiatorio, come la minoranza etnica, l'atto terroristico, la catastrofe ecologica, fino al più banale dei fatti di cronaca.

Laura Tussi