A partire da alcuni recenti eventi (Incontro interreligioso di Cracovia, polemiche relative alla presenza musulmana a Milano,...), vogliamo riflettere sull'importanza del dialogo tra le religioni per la costruzione di una civiltà del convivere
domenica 25 ottobre 2009
ore 18,00 - Istituto Leone XIII
Via Leone XIII, 12 (MM1 - Pagano)
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6 commenti:
STEFANO PASTA
Siamo contenti di ritrovarci oggi per continuare la nostra riflessione su come i giovani possano contribuire a costruire una civiltà del convivere.
Siamo contenti anche di ritrovarci proprio qui al Leone XIII, che, oltre ad essere una scuola importante di Milano,è la sede della Lega Missionaria di cui fanno parte alcuni di noi.
Nel testo di descrizione di Genti di Pace-j, che abbiamo presentato a marzo alla Casa delle Culture, abbiamo scritto: "Il volto di Genti di Pace-j è quello di una città sempre più multietnica e multireligiosa. La complessità non ci spaventa, è in ciascuno di noi: la nostra identità è plurale. Crediamo che lo sviluppo di una società sia basato sulla capacità di accogliere e valorizzare le idee e le credenze di tutti. Bisogna imparare a scoprire ciò che di bello e di buono c’è negli altri popoli e nelle altre religioni. Chiediamo che tutti possano esprimere liberamente la propria fede senza discriminazioni."
Oggi ci troviamo per questo nostro incontro dal titolo "Religioni e culture in dialogo: le nuove sfide per Milano e l’Italia" e vogliamo fermarci su questo particolare aspetto della nostra pluralità, quella religiosa, che segna la vita di tanti giovani come noi a Milano.
Il dialogo tra le religioni e le culture differenti è uno dei tratti che definiscono Genti di Pace-j. Sempre nell’incontro alla Casa delle Culture, Rachid, che è partito martedì per il Marocco ma che ha molto contribuito a pensare questo incontro, parlava, descrivendo Genti di Pace-j, “dell’importanza di incontrarsi per conoscersi dal punto di vista culturale e religioso. Se è vero che ci sono delle differenze che rimangono e devono rimanere, è anche vero che è necessario trovare dei punti dove possiamo incontrarci.”
Con questo spirito, ad aprile molti di noi sono stati a incontrare i responsabili della Casa della Cultura islamica di via Padova, luogo di preghiera per molte persone che vivono qui, e, nello scorso mese di Ramadan (il mese di digiuno per i fedeli musulmani), il 16 settembre abbiamo condiviso con gli amici musulmani l’Ifthar, la rottura del digiuno dopo il tramonto.
A inizio settembre alcuni di noi hanno partecipato ad un importante incontro interreligioso, in Polonia, a Cracovia, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Elisabetta ci racconterà tra poco di quest’incontro, in cui sono intervenuti esponenti di alto livello di tutte le religioni del mondo. Proprio sentendo il racconto di quest’incontro internazionale, vogliamo chiederci cosa vuol dire a Milano il dialogo interreligioso, come possiamo viverlo noi giovani milanesi.
Per noi è scontato e naturale essere amici tra giovani di religione diverse, ma sappiamo che purtroppo è non sempre per tutti così. Noi vogliamo testimoniare di essere giovani non rassegnati alla logica che individua nell’altro (in questo caso chi è di una religione diversa) un nemico.
In questi ultimi mesi, a Milano si sono riaccese le polemiche intorno alla presenza dei musulmani: la richiesta di poter finalmente costruire una moschea, le polemiche relative al Ramadan e alla sua cerimonia di conclusione, l’Eid al Fitr, la strumentalizzazione dell’attentato alla caserma Perrucchetti.
Troppi atteggiamenti di politici, di cittadini ammaestrati da cattivi maestri e, purtroppo, di molti giovani sono pericolosi. Proprio giovedì, il Vicesindaco di Milano ha detto, parlando del problema dei clandestini: “Un esercito di irregolari, altre teste calde a disposizione dei terroristi”. Ormai, non solo i musulmani vengono indicati come potenziali terroristi, ma anche i clandestini diventano potenziali terroristi. Così si semina odio tra la gente.
(Continuazione...)
Commentando gli stessi fatti, don Gino Rigoldi, un amico che siamo contenti è oggi qui con noi, ha detto invece: “Sento che ci stiamo allevando come nemici decine di migliaia di giovani ormai italiani e milanesi o lombardi i quali hanno il diritto al rispetto, che potrebbero diventare cittadini a pieno titolo, che vivranno certamente insieme con noi e tra di noi.”
A Milano, ci sono infatti molti ragazzi di religione musulmana di prima e di seconda generazione. Ragazzi e ragazze che hanno studiato a Milano che fanno un’enorme fatica a sopportare tutte le forme di discriminazione, e spesso di disprezzo, di cui sono fatti oggetto: loro e la loro religione, la loro nazionalità. In alcune zone di Milano (penso a Corvetto), si sente il desiderio, il dispiacere e la rabbia che monta perché la ribellione monta in chi capisce di non essere rispettato.
Quanti italiani potrebbero sopportare di essere trattati come persone di serie B? uomini e donne che non solo devono percorrere vie burocratiche e onerose per avere un permesso di soggiorno o il ricongiungimento familiare ma anche quando lavorano e pagano le tasse sono sospettati di essere l'origine della criminalità e della violenza, un pericolo per la fede cristiana e altre sciocchezze del genere.
Questo è il rischio che vediamo anche per Milano. Dobbiamo scegliere se vivere in una città in cui ancora i musulmani sono talvolta visti come un pericolo, oppure se vogliamo costruire una città in cui tutti possano esprimere liberamente la propria fede senza discriminazioni, una città di cui tutti si sentano parte.
I giovani islamici, molti islamici che sono nati e che vivono e vivranno a Milano, vogliono essere una risorsa per la città, istituzioni islamiche come il Centro Islamico di Milano cercano il dialogo.
Ad esempio, di fronte alla giustissima richiesta di poter pregare in una moschea, come vogliamo rispondere? È giusto accettare che, come ci ha raccontato Rachid parlando di Sesto San Giovanni (ma in tanti altri quartieri di Milano è così), i nostri coetanei musulmani siano costretti a pregare in una cantina?
Questo è vivere il dialogo tra le religioni a Milano: porsi queste domande, non accettare che nella nostra città “musulmano” sia alle volte – al lavoro, nei quartieri, nelle scuole- usato come un insulto, interessarsi anche ai problemi delle persone delle altre religioni.
Ora, lascio la parola ad Elisabetta che è stata all’incontro interreligioso promosso dalla Comunità di Sant’Egidio a Cracovia a inizio settembre e, poi, abbiamo chiesto a Rassmea, di Yalla Italia, di raccontarci cosa vuol dire vivere la fede musulmana a Milano per una ragazza di seconda generazione.
ELISABETTA D'AGOSTINO
Dal 6 all'8 settembre 2009 io insieme ad altri amici della Comunità di Sant'Egidio siamo stati a Cracovia, una città della Polonia meridionale, per partecipare all'incontro internazionale “Lo spirito d'Assisi a Cracovia”.
Nel 1986 Giovanni Paolo II aveva chiamato per la prima volta ad Assisi i leader delle religioni per pregare insieme per la pace. È stata una grande intuizione: ciò che unisce profondamente tutte le religioni è la ricerca della pace.
Da quel momento la Comunità di Sant'Egidio ha capito che quell'evento non doveva restare isolato; così ogni anno, in una città diversa, la comunità riunisce i leader delle religioni e diversi intellettuali a pregare per la pace e a confrontarsi su temi d'attualità mondiali. Questo incontro internazionale si è svolto anche a Milano per ben due volte: nel 1993 e nel 2004.
L’obiettivo di questi incontri è far crescere l'unità tra le religioni senza mescolarle in un sincretismo senza senso. Ognuno conserva la propria fede che è arricchita dal confronto e dal dialogo.
In fondo lo abbiamo già vissuto qui a Milano in più di un’occasione: per esempio quando abbiamo visitato il centro islamico di via Padova. Eravamo cristiani e agnostici che si sono avvicinati a un mondo che non conoscevamo molto; l’amicizia con Arba e Rachid ci ha spinto ad entrare nel mondo dell’Islam milanese con curiosità e rispetto per questa importante religionemonoteista.
Nel lungo cammino di questi incontri nello spirito di Assisi questi aspetti non sono mai venuti meno anche nei momenti in cui il dialogo sembrava la via degli sciocchi e dei sognatori, come nel 2001, dopo l'attacco terroristico alle torri gemelle.
La strada dell’incontro e del dialogo, invece, si è rivelata vincente per riannodare i tanti fili strappati tra le chiese cristiane, tra ebrei e musulmani. Insomma, ci viene da dire che siamo tutti fanatici del dialogo.
Dopo l’attentato in via Perrucchetti abbiamo di nuovo vissuto il clima di tensione, lontananza e in fondo di disprezzo verso i musulmani. Credevamo di esserci lasciati alle spalle l’aria pesante del post-11 settembre e invece è ritornata fuori ed è ancora forte. Secondo me Gdp può rispondere all’appello di don Rigodi e lo stiamo già facendo ma forse è da fare di più. Le religioni non devono essere una fonte di divisione, al contrario: esse sono la colla necessaria ad una pacifica convivenza della società civile. Noi non vogliamo che i musulmani di Milano siano considerati dei nemici e vogliamo dirlo di più.
Queste battaglie di genti di Pace-j non sono sentite solo a Milano o in Italia. Ma anche a livello internazionale. Infatti a Cracovia abbiamo partecipato a diverse tavole rotonde (tra i diversi responsabili delle religioni mondiali) e le abbiamo trovate molto interessanti da questo punto di vista.
(Continuazione...)
Per esempio il tema dell'immigrazione clandestina tocca molti Paesi europei e nordafricani: abbiamo capito come sia sempre più importante un confronto globale sull'immigrazione che vada oltre la logica del respingimento degli immigrati. E quanto questo discorso si può anche affrontare proprio dal punto di vista delle tradizioni religiose. Per esempio i cristiani se ragionassero sempre come cristiani affronterebbero la presenza di persone straniere in modo differente: vedrebbero lo straniero come una persona da accogliere, a cui dare ospitalità proprio come vorremmo fosse fatto a noi in un altro Paese.
In fondo la malattia dei nazionalismi e l’esaltazione della purezza etnica ha portato alla Seconda Guerra Mondiale. Il 2009 coincide con il settantesimo anniversario dall'invasione nazista della Polonia e quindi l’inizio della seconda guerra mondiale. Questo Paese è stato profondamente segnato dalle ferite della Guerra: il 20% della popolazione polacca non è sopravvissuta alla guerra. In Polonia erano presenti più di sessanta campi di concentramento e ben 5 campi di sterminio sono morti migliaia di prigionieri politici e ben 2 milioni di ebrei polacchi.
A questo proposito l'apice dell'incontro è stato il pellegrinaggio al campo di sterminio di Auschwitz, dove tra il 1942 e il 1945 hanno trovato la morte circa un milione e mezzo di persone, in buona parte ebrei, ma anche zingari, prigionieri politici e omosessuali per mano del regime nazista.
Abbiamo capito nuovamente, calpestando quei binari su cui arrivavano i treni carichi di prigionieri innocenti (donne, bambini e uomini), che Auschwitz è l'abisso del Male.
Lì ci siamo fermati in mezzo alle rovine delle baracche dei deportati, vicino alle rovine dei forni crematori e delle camere a gas dove milioni di persone sono state sterminate, abbiamo pregato e abbiamo ascoltato le parole di un sopravvissuto alla Shoah, Israel Meir Lau: a quell’epoca lui era un bambino ebreo di Cracovia, nipote di un famoso rabbino della città. Erano 47 nipoti e sono sopravvissuti in 5.
Lau è oggi un rabbino di più di settant'anni e ha detto queste parole molto toccanti:
Il mondo era diviso in tre parti. Una parte dove stavano gli assassini, i nazisti e la resistenza. Dall’altra parte le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.
Ecco perché oggi siamo qui.
Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.
(Continuazione...)
Noi oggi ci portiamo nel cuore queste sue parole e vogliamo che non cadano nel vuoto. Noi non vogliamo essere indifferenti a partire da quello che succede a Milano, nella realtà dove viviamo. Se per certi versi ci sembra di essere molto lontani da quei tempi terribili della guerra, di discriminazione e di sterminio di un popolo solo perché nati ebrei, è anche vero che tutto quell’orrore è cominciato gradualmente e la gente si è abituata, forse possiamo dire che tutto è successo proprio perché gli uomini si abituano presto e facilmente al male, se non stanno svegli e attenti a vigilare.
Oggi vediamo molte cose tremende nella nostra città (accennare al bus con le grate per fermare gli irregolari …, le leggi che diventano sempre più dure, il clima di intolleranza che si respira tra la gente verso chi è diverso, sul volantino del Comune in cui si elencano le cose buone fatte dall’amministrazione (strade asfaltate, servizi per gli anziani, asili per i bambini) compaiono anche 143 sgomberi di campi rom, quando sappiamo benissimo che non solo gli sgomberi non risolvono niente, ma fanno aumentare l’odio, la distanza e la paura reciproca.
Ritornando idealmente da Auschwitz abbiamo dei motivi in più per dire con forza che non è giusto incolpare tutti i musulmani di Milano per il gesto violento di una persona. Anzi, secondo me questi gesti di rabbia e violenza nascono numerosi in questa chiusura verso chi ha una fede o una cultura diversa.
In fondo anche la cosiddetta rivolta di alcuni cinesi di Paolo Sarpi di due anni fa nasceva dalla rabbia di sentirsi discriminati e incompresi. Questo non significa che si possono giustificare questi gesti però dobbiamo interrogarci sulle loro cause più vere e profonde.
Il dialogo tra le religioni, allora, è una chiave molto importante per il futuro della nostra città, anche per la comprensione delle relazioni tra i diversi modi di giovani che in qualche modo qui sono rappresentati, può aprire le porte a un città dove è veramente possibile una convivenza tra persone diverse.
herkesin derdi farklı.
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