giovedì 13 dicembre 2007

Interventi dell'inaugurazione di "Genti di Pace-j" (24/11/2007)

Nei commenti pubblichiamo gli interventi dell'inaugurazione del movimento "Genti di Pace-j".

Cosa ne pensate degli interventi? Avete domande sulle esperienze raccontate?


- Matteo: l'amicizia con i bambini rom di Milano
- Liqin: la scuola di italiano per stranieri nel quartiere Paolo Sarpi
- Gianni: Associna e le seconde generazioni
- Doriana: l'amicizia con gli anziani in istituto

(continua a leggere ... nei commenti)

5 commenti:

redazione ha detto...

Matteo: l'amicizia con i bambini rom di Milano

La Comunità di Sant’Egidio ha una forte amicizia col popolo dei rom a Milano, che rappresenta una realtà molto discussa e spesso al centro di numerose polemiche. La Comunità li vede, oggi come dieci anni fa, quando è iniziata la prima amicizia con un gruppo di famiglie rom slave, come una delle minoranze meno ascoltate, tra le tante presenti in una metropoli complessa come Milano, dove spesso faticano a far sentire la propria voce al di fuori di una prospettiva che non sia quella basata sui pregiudizi nei loro confronti, sebbene la loro presenza in Italia e in Europa conti secoli di storia, per cui più della metà dei rom presenti nel nostro paese sia da considerarsi italiana a tutti gli effetti. Per me e i miei amici della Comunità impegnati nella Scuola della Pace coi bambini, loro sono persone che incontrano ogni giorno la grande difficoltà dell’emarginazione e della povertà nei suoi vari aspetti, e che per questo hanno molto da raccontare, sopratutto i più piccoli. Per loro come per noi grandi la Scuola della Pace è uno spazio aperto a tutti, dove si impara a stare insieme anche se – ma sarebbe forse meglio dire “proprio perché”- si è diversi per cultura, religione e paese di provenienza. Questa esperienza, che vuole essere allo stesso tempo anche un sogno per il futuro, insegna a guardare in modo nuovo cosa vuol dire essere poveri a Milano, a capire che i nostri fratelli più piccoli hanno tantissime cose da raccontare e condividere, le stesse con cui la Comunità si è fatta coinvolgere scoprendo le vite di queste persone, lontane dall’attenzione della città: lo fanno sempre con l’entusiasmo di chi trova un amico che ascolta, ed è sempre molto bello sentirsi parte di quello che vivono. E’ proprio da questa condivisione che è nata la mostra virtuale “Io vivo al Campo” realizzata dalla Comunità, pensata per far conoscere le speranze, i sogni e le paure dei bambini rom slavi e rumeni della Scuola della Pace, attraverso i loro stessi disegni raccolti in un anno. Quasi sempre le scene descritte ritraggono la loro vita quotidiana, come si è potuto vedere dal disegno intitolato “Vorrei una città con le case e senza baracche” di un bravissimo Tony, dove i particolari del luogo hanno fatto riflettere su come spesso la vita al campo sia difficile perché più povera e anche precaria, dato che ci si confronta spesso con la paura di essere mandati via, come ci ha mostrato invece Noris con “Ho paura che ci mandano via” . Anche Isabela con “Nella mia baracchina ci sono due stanze” ha descritto la sua casa come un posto dove gli oggetti e gli apparecchi che a noi possono sembrare essenziali, dall’acqua corrente al riscaldamento, per lei e la sua famiglia non lo sono affatto. La paura assieme alla denuncia degli incendi che purtroppo, sopratutto d’inverno, scoppiano nei campi per le cattive condizioni del riscaldamento è un altro tema ricorrente che Lorenz descrive intitolando il suo disegno “Vorrei una città dove non muoiono i bambini nei campi rom”, riferendosi a un fatto realmente accaduto.Un capitolo a parte andrebbe invece aperto per i disegni dei bambini rumeni che pochi giorni prima del Natale scorso sono stati sgomberati dal loro campo, per poi venire alloggiati a Opera, un Comune alle porte di Milano dove hanno incontrato un clima di vero e proprio razzismo ingiustificato nei loro confronti, che ha prodotto l’incendio doloso delle tende messe loro a disposizione dalla Protezione Civile. Il disegno di Liduta,
“Il giorno più brutto” descrive benissimo questo clima di confusione e di violenza subita, dove la cosa che più colpisce è la difficoltà della bambina a spiegarsi il perché di quell’intolleranza nei suoi confronti.
Come ultimo disegno ho fatto vedere “Poveri e pure ricchi la scuola è per tutti” di Jonathan, che spiega bene il desiderio di accoglienza e di istruzione sentito dai bambini: per loro la scuola è davvero importante, dovrebbe essere un posto aperto a tutti dove si può portare la propria voglia di imparare. Noi amici di questi bambini sentiamo sempre la fortuna per aver conosciuto anche altre domande che vanno oltre la scuola, sono quelle sulla vita e sul mondo visto attraverso i loro occhi, come hanno mostrato i disegni. In questi abbiamo trovato le paure per un presente difficile, ma anche tante vere speranze per un futuro migliore, dove il sogno della pace, dell’uguaglianza e dell’amicizia possa diventare sempre più vero; e spesso i primi a crederci sono proprio i bambini.

Matteo

redazione ha detto...

Liqin: la scuola di italiano per starnieri nel quartiere Paolo Sarpi

Io sono Liqin e mi occupo di una scuola d’italiano per stranieri nel quartiere di Paolo Sarpi. La scuola si chiama Louis Massignon. Questa scuola è nata dopo gli scontri in Via Paolo Sarpi. Sapete che cosa è successo l’anno scorso in Aprile in Paolo Sarpi?
La scuola è nata proprio per provare a rispondere ai problemi di convivenza che ci sono nel quartiere. Stiamo cercando di costruire un ponte tra Italiani e Cinesi. La scuola è frequentata da un centinaio di studenti. La maggioranza proviene dalla Cina, ci sono studenti anche dallo Sri Lanka, Brasile e dal Messico. Sono uomini e donne arrivate in Italia da adulti che provano ad imparare l’italiano. La nostra scuola dà un’opportunità a chi ha voglia di imparare l’italiano. È la dimostrazione che i Cinesi vogliono imparare l’italiano. Alla nostra scuola si impara non solo italiano ma proviamo anche a costruire un mondo di convivenza.

Liqin

redazione ha detto...

Gianni: Associna e le seconde generazioni

Parto dallo spunto offertomi da Ulderico sull’evento Living Together (vedi un post precdente...), occasione imperdibile per riaffermare che la convivenza è possibile e la comunità cinese è lì presente in massa proprio per dire “sì” alla convivenza, per dire “sì” all’indomani dei tristi scontri in zona Paolo Sarpi. Living Together è valso anche come banco di prova per i “futuri italiani”, le seconde generazioni che sono accorse per colorare di vivacità infantile e curiosità giovanile l’evento. Abbiamo percepito l’apertura delle seconde generazioni, cioè di quei giovani di origine straniera nati o cresciuti in Italia, gruppo nel quale mi identifico completamente assieme a tutti gli altri ragazzi di Associna. Giovani che a volte fanno fatica a sentirsi italiani: come Roberto Hu che nato e cresciuto a Firenze per 17 anni, avendo frequentato tutto il ciclo scolastico in Italia e con un inconfondibile accento toscano si è ritrovato ad affrontare un mostro dell’era moderna: la legge sulla cittadinanza. Già, perché lui a 17 anni si è ritrovato a dover emigrare (nuovamente) con i genitori in Ungheria, e ahimè la legge non può fare sconti: o risiedi per 18 anni senza interruzioni, o rimani bollato come straniero, anzi come “extracomunitario”, che ormai semanticamente sarà una parola vicina a “delinquente”, “clandestino” e “ladro” nei vocabolari dei più.
Seconde generazioni che a volte fanno fatica non solo a sentirsi italiani, ma addirittura vedono minacciata la propria identità, anzi la “doppia identità”. Come quando telefoni all’Enel per un semplice malfunzionamento alla rete elettrica: “Buongiorno, ho un problema alla corrente elettrica, continua a saltare la luce in casa”, al quale segue un gentile “Certo, intanto con chi sto parlando?”. “Mi chiamo Jianyi Lin”, che scatena sull’operatore un riflesso incondizionato a chiedere “Si ma io vorrei sapere il SUO nome e cognome”. “Ma certo le faccio anche lo spelling J-I-A-N-Y-I L-I-N!”. “No, forse non mi sono spiegato, io ho bisogno di sapere come si chiama LEI”…
A nessuno è capitato di vedere minacciato l’aspetto più ovvio della propria identità, il nome anagrafico? Per fortuna hanno inventato la carta d’identità, casomai ci si scordasse il proprio nome. Ma soprattutto mi chiedo, è possibile oggi continuare a vivere conoscendo solo il proprio vicino di casa? E’ proprio insolito ed anormale avere a che fare con stranieri? Cosa spinge la persona a voler negare addirittura il contatto con chi è diverso come se non si accettasse un interlocutore straniero?
Un Mondo Misto è allora necessario, così come è necessario assumere un atteggiamento condiviso verso la convivenza e la multiculturalità, verso chi ha qualcosa da offrire o da chiedere alla società italiana, non solo in termini economici ma anche in termini sociali ed umanitari. Per un mondo misto in cui lo straniero non venga più visto con un’ottica stereotipata, basata su leggende metropolitane o pregiudizi antichi che alimentano solo forme di xenofobia o di semplice atteggiamento intransigente nei confronti del diverso. In fondo ognuno con le proprie personalità, siamo tutti diversi uno dall’altro.

Gianni

redazione ha detto...

Doriana: l'amicizia con gli anziani in istituto

Ciao sono Doriana,
vorrei raccontarvi di come vivono molti anziani a Milano.
Io l’ho scoperto andando in un istituto con alcuni miei amici.
L’istituto è un palazzo molto grande, con circa 350 anziani che dormono lì.
Perché le famiglie o i figli li hanno mandati lì e non li hanno tenuti con loro? Forse non vogliono occuparsi di loro perché è troppo faticoso o non hanno tempo.
Forse hanno paura di vederli invecchiare e diventare deboli.
Per noi è una cosa orribile, perché i figli non dovrebbero abbandonare mai i loro genitori.
L’Istituto è fatto di 5 piani e ogni piano ha un lungo corridoio con tante stanze.
In ogni stanza ci sono due letti e due anziani.
Ognuno può portare i propri vestiti, qualche foto e piccoli oggetti e basta.
È un posto sereno, ma senza colori.
Le nostre amiche anziane (sono tutte donne) ci hanno raccontato tante volte che si sentono sole e abbandonate, soprattutto perché non si sentono amate e utili a nessuno. Qualcuno ha detto: I vecchi senza amore muoiono!
Tanti anziani pensano che la loro vita non valga più per nessuno, ma invece noi diciamo loro che sono importanti per noi: io penso che si può continuare a vivere perché te lo chiede qualcuno.
Per esempio la mia amica Margherita, che vive da 17 anni in Istituto (cioè la mia età), mi chiede sempre come va la scuola e prega per me, di notte quando non riesce a dormire, penso che quest’anno la scuola vada meglio anche grazie alle sue preghiere.
Adesso sono 3 anni che è nata questa amicizia con gli anziani, abbiamo accompagnato alcuni di loro nei momenti difficili della malattia e nella gioia.
Con loro facciamo delle feste o anche solo delle lunghe chiacchierate. Per i nostri amici è difficile perchè non ricordano bene le cose, allora gli prestiamo la nostra memoria.
Una volta siamo andati a fare una gita fuori Milano; Maria, Margherita, Claudine, Teresa, Lina, Giuseppina: alcune avevano paura perché non uscivano dall’istituto da anni, si guardavano intorno stupite ed erano felici.
Questi siamo noi un gruppo che si è formato con l’amicizia fra persone diverse, per età e per nazionalità …
veramente siamo genti di pace in un mondo misto!

Doriana

Anonimo ha detto...

Che bello che gli interventi siano arrivati sul blog!!! Così anche chi non c'era può leggerli e magari dirci cosa ne pensa!
Spero che il blog diventi sempre più uno strumento agile di comunicazione per il nuovo movimento. Secondo me questa è una bella risposta all'indagine censis che parla di un'Italia scoraggiata e sfilacciata, il problema è: come possiamo coinvolgere e comunicare le nostre speranze per un mondo migliore ?