martedì 1 gennaio 2008

Pace in tutte le terre

GIORNATA MONDIALE della PACE

1 gennaio 2008 - ore 16.00

P.zza San Carlo (C.so Vittorio Emanuele)

Marcia per la pace e per ricordare tutte le terre che soffrono per la guerra e il terrorismo.

Nei commenti la testimonianza del Ven. U Uttara, monaco buddista birmano in esilio a Londra, e di Suor Dalmazia Colombo,
missionaria per molti anni in Mozambico.

(continua a leggere...nei commenti)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Che bella quest'opportunità di cominciare il 2008 come un anno di pace, ricordando nel contempo tutte le situazioni di guerra che ancora esistono ! Speriamo che l'anno che viene veda un risolversi di numerose situazioni di violenza !
Ciao e ancora Buon Natale a tutti ! Virginia

redazione ha detto...

TESTIMONIANZA DEL VEN. U UTTARA

Cari amici della Comunità di Sant’Egidio, signore e signori,

Da parte dei miei confratelli monaci e del popolo birmano vi voglio ringraziare di cuore per avermi invitato a questa marcia per la pace dal titolo “Pace in tutte le terre”.

Mentre tutti noi ci siamo radunati qui, per pregare in pace e liberamente ci sono 50 milioni di persone in Birmania che non possono riunirsi come noi, e nemmeno pregare pacificamente, perché verrebbero arrestate.

Costoro soffrono per la mancanza di libertà e dei diritti umani basilari.
Sono passati quasi 60 anni da quando la Birmania ha ottenuto la sua indipendenza dalla Gran Bretagna, il 4 gennaio 1948…..
Tristemente, per noi c’è molto poco da festeggiare in questo giorno dell’indipendenza, se pensiamo che la giunta militare opprime 50 milioni di persone.
La Birmania ha conosciuto grandi rivolte nel passato, come nel anni 1962 e nel 1988, e la protesta più recente, pacifica, che è stata guidata dai nostri confratelli monaci nel settembre 2007.
Come tutti voi avrete visto dai media internazionali, il settembre scorso la manifestazione per la libertà e la democrazia è stata brutalmente schiacciata dal governo militare.
In quei giorni i monaci buddisti decisero che avrebbero avuto un ruolo attivo fisicamente, uscendo dai loro monasteri e camminando nelle strade della città, protestando in maniera pacifica contro la violenza e l’estrema povertà che opprimevano i civili.
Durante queste proteste pacifiche i monaci buddisti della Birmania hanno marciato recitando il sutra della gentilezza e dell’amore allargando questo sentimento a tutti gli esseri e con la grande speranza che il loro amore avrebbe vinto.
Ma in quei giorni migliaia di persone sono state arrestate, e come conseguenza di questo, molte di loro hanno perso la vita.
Per il nostro popolo della Birmania la parola Indipendenza è priva di significato, quando tanti civili vengono arrestati e tenuti in prigionia per un periodo indefinito, senza un equo processo. Tra i tanti desidero ricordare la nostra leader per la democrazia, e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, i monaci, e molti altri attivisti politici.
Sono tuttora in corso arresti non ufficiali dei monaci, e razzie dei monasteri.
C’è ancora un grande numero di monaci in prigione, senza che abbiano avuto un giusto processo.

I monaci non vengono nemmeno curati in prigione, quando si ammalano.

Secondo una fonte affidabile, abbiamo sentito che ci sono circa 2000 monaci ancora in prigione, così io sono preoccupato per il loro benessere e la loro salvezza.

Abbiamo anche sentito che parecchi monaci sono scomparsi nello stato di Arakan in Birmania, e non sappiamo se siano ancora vivi oppure no.

La situazione attuale ci preoccupa molto e ci sconvolge.
Il popolo della Birmania vive in povertà, vive nella paura, e noi non siamo affatto liberi o indipendenti.

A gennaio, a Londra, l’Organizzazione Internazionale Birmana organizzerà una marcia per la pace e dei momenti di preghiera per ricordare il giorno dell’indipendenza in Birmania


Questo avrebbe dovuto essere il tempo per festeggiare il giorno dell’indipendenza, invece parecchi monaci buddisti, me incluso, attivisti politici birmani, e sostenitori dei diritti umani marceranno silenziosamente nel centro di Londra.

Avremo anche un momento di preghiera buddista per la Libertà della Birmania.

Io sono convinto che questo evento sia molto importante per ricordare al mondo le difficoltà che il popolo birmano sta affrontando, popolo che non deve essere dimenticato.

Stiamo organizzando la “marcia silenziosa” per mostrare che noi siamo con il popolo della Birmania, che non può camminare lungo le strade e parlare liberamente.

Per cose come queste, anche se pacifiche, si può venire uccisi, arrestati, torturati.

Nonostante abbiamo ottenuto la nostra indipendenza 60 anni fa, i nostri monaci, ma anche i laici del mio paese, non sono ancora liberi di esprimersi.

Io spero che eventi pacifici come quello di Londra e questo di oggi a Milano avranno luogo sempre più spesso in tutto il mondo, e daranno coraggio al popolo della Birmania.

Daranno coraggio alle persone in Birmania, continueranno a mostrare il loro desiderio di libertà attraverso la nostra protesta pacifica e silenziosa come se anche qui fossimo nelle strade della Birmania.
Nonostante la difficoltà e la povertà so che il nostro popolo è indipendente, ricco di risorse e determinato a creare una nazione pacifica e riconosciuta.
Il nostro popolo ha il coraggio e la determinazione per raggiungere la libertà e l’indipendenza.
È nostro dovere mostrare solidarietà per sostenere la Birmania.
È nostra responsabilità fermare il modo ingiusto in cui sono trattati i monaci e i civili, che è ciò che ci preoccupa maggiormente, per il futuro del Buddismo in Birmania. E c’è urgente bisogno di riportare la pace e la libertà in quel paese.
Infine, vorrei chiedere aiuto a ciascuno di voi per continuare a sostenere il nostro popolo in Birmania, affinché ottenga libertà e democrazia e, più importante ancora, affinché cessi la crudeltà di un regime militare tra i più aggressivi.
Vi ringrazio di cuore e auguro un felice anno nuovo a tutti voi
Che tutti gli esseri possano stare bene, essere felici e vivere in pace

redazione ha detto...

TESTIMONIANZA DI SUOR DALMAZIA COLOMBO

Sono una missionaria della Consolata, di origini brianzole. In questi giorni ho compiuto 72 anni e di questi ne ho vissuti 31 in guerra.
Avevo 5 anni quando ho sentito pronunciare per la prima volta la parola guerra. Allora chiesi alla mamma: “Cos’è e perché c’è la guerra?”
Ero in viaggio verso il Mozambico, nel 1964, quando è stata annunciata la guerra di Indipendenza del Mozambico, durata 10 anni con un seguito di 16 anni di Guerra civile.
Alla domanda “Cos’è la guerra?”, in Africa si risponde:
“La guerra è la lotta fra due elefanti, che lottando calpestano l’erba e l’erba è il popolo.”
Per questo, mi scriveva in una lettera un uomo di Nampula, dove sono stata missionaria:
- l’orecchio è sempre teso per distinguere il boato del bazooka da quello del mortaio;
- gli occhi ci escono dalle orbite dallo sforzo di tentare di riconoscere se il cadavere che abbiamo incontrato è di un familiare;
- vedere una mamma, vestita di sacco, magari insanguinato, ormai è una scena quotidiana.
Per questo:
- nessuno più piange: gli adulti non hanno più lacrime e anche il neonato ha imparato a soffocare il lamento, quando la mamma, insospettita da un rumore, se lo stringe al cuore.
Non è letteratura, potrei parlare ore descrivendo la situazione dell’erba, cioè del popolo calpestato dalla lotta degli elefanti perché l’ho vissuta in prima persona.
C’è un’altra domanda che mi tormenta: “ Perché la guerra?”
Non sono una statista, una politica,…Sono solo una che ha vissuto 31 anni di guerra dalla parte dell’erba calpestata, specialmente fra donne, bambini, giovani, uomini non più adatti per la guerra….Ma devo dolorosamente dire che più di una volta ho visto il “filo dell’erba trasformarsi in elefante”, perché la guerra sembrava essere l’unica soluzione.
Era una sera buia, Teresa, la collega infermiera, mi dice segretamente: “Suor Dalmazia, neppure il vento lo sa, ma stanotte con tutta la famiglia passiamo dall’altra parte perché siamo sospettati di essere con l’opposizione e domani la polizia ci cercherà.” E così fu: una ventina di persone presero la via dell’esilio, della lotta, divennero a loro volta “elefanti”. Era mezzogiorno in punto. Avevo finito di curare i malati. Un uomo, non più giovane, mi si avvicina e dice: ”Stanotte vado al fronte. Abbia cura della mia famiglia.” “Ma perché?” chiedo. “perché mi vergogno di lasciare ai miei figli questo Paese senza libertà, senza dignità, senza democrazia... Senza beni primari.”
Era un pomeriggio. Parlavo con un gruppo di ragazzi. Erano gasati. Sostenevano che la guerra è un bene perché la storia dice che nel dopoguerra arriva il benessere e che non c’è sviluppo se non si vince una guerra.
L’ultimo “perché” me l’ha espresso qualche giorno fa un profugo africano, a cui chiedevo come mai nel suo Paese era scoppiata di nuovo la guerra: “Ci sono tante ricchezze in quella regione, materie prime, della tecnologia moderna… dove però la gente ha meno di un dollaro al giorno per vivere.” E allora I DUE ELEFANTI NON CESSANO DI LOTTARE. Trovano sempre nuovi motivi, di sopruso gli uni, di speranza gli altri. C’è un’altra domanda che l’ERBA calpestata dagli eserciti non cessa di farsi, di rivolgere a Dio e agli uomini, come avveniva già dai tempi biblici. “Fino a quando?” Fino a quando? Pochi mesi, un anno al massimo, il prossimo Natale tutto sarà finito” dice chi scatena la guerra. Ma non è così.
“Fino a quando?” Le guerre che ancora oggi insanguinano la terra potrebbero anche raggiungerci e ci raggiungono comunque. Quando tornerà la pace? Quando ogni uomo, ogni donna metterà in pratica quello che diceva Paolo VI: “La pace dipende da me.” O come direbbe Benedetto XVI: ”La pace dipende dalla mia famiglia.”
Dipende da me, dalla mia famiglia, dal filo d’erba schiacciato, dall’elefante che vuole solo arricchirsi…. Dunque, dipende da tutti disinnescare il guadagno dalla guerra e mettere fine alla disperazione da condizioni di vita inaccettabili, alla mancanza di speranza che uccide, specialmente i giovani.
Dipende da me, pregare, marciare per la pace, ma anche diventare operatori di pace, per trasformare le spade in aratri, come diceva Isaia, e le armi in strumenti di lavoro e di vita.
La Comunità di sant’Egidio ha sempre creduto alla forza della pace: HA VISTO ARRIVARE LA PACE IN MOZAMBCIO, perché non si è spaventata della forza degli elefanti, né della disperazione del suolo grondante sangue del Mozambico e così la pace è arrivata.
Siamo qui tutto per questo a dire e a credere che: “La pace dipende anche da me, per trasformare la comunità umana in agenzia di pace”, come ha detto oggi il papa.